Dott. Fabio PAPA – Internazionalizzazione e PMI: istruzioni per l’uso

fabio papa

Perché il concetto di internazionalizzazione continua a rivestire un ruolo sempre più importante per le imprese italiane? Se chiediamo a diversi imprenditori perché pensano sempre più all’estero, la risposta che ci viene data è la storica alta dipendenza delle nostre aziende dal mercato interno che, come noto, da anni vive un momento di stagnazione con i soliti problemi endemici: alta tassazione, alto costo del lavoro, soliti costi energetici, difficoltà di incassare….si parla insomma di un’economia che continua a soffrire da quasi un decennio e che, secondo le stime più ottimistiche, ritornerà a livelli pre-crisi solo nel 2026.

Internazionalizzazione e Pmi: istruzioni per l'uso

Perché il concetto di internazionalizzazione continua a rivestire un ruolo sempre più importante per le imprese italiane? Se chiediamo a diversi imprenditori perché pensano sempre più all’estero, la risposta che ci viene data è la storica alta dipendenza delle nostre aziende dal mercato interno che, come noto, da anni vive un momento di stagnazione con i soliti problemi endemici : alta tassazione, alto costo del lavoro, soliti costi energetici, difficoltà di incassare….si parla insomma di un’economia che continua a soffrire da quasi un decennio e che, secondo le stime più ottimistiche, ritornerà a livelli pre-crisi solo nel 2026.

Al contrario, chi punta (solamente) sull’Italia, subirà l’andamento dell’economia del Bel Paese, caratterizzata da incertezza strutturale e da problematiche che ostacolano la crescita di lungo periodo.

Quindi se da un lato è vero che le imprese potrebbero rafforzarsi nel territorio domestico ( non solo nella propria area di competenza – es. contesto regionale – ma anche e soprattutto a livello nazionale – una pratica spesso ignorata da molte PMI ) appare evidente che l’internazionalizzazione più che un’opportunità è ormai diventata una necessità. Pertanto, le nostre imprese dovranno confrontarsi in modo crescente con i mercati internazionali.

Da una analisi fatta sulle prime PMI che già da anni hanno affrontato i mercati internazionali, molte sono le aziende che mostrano una percentuale dei ricavi provenienti dall’estero vicina al 70-80%; nondimeno, tali imprese dichiarano di voler ulteriormente accrescere la quota dei ricavi extra-domestici, minimizzando i rapporti con il mercato italiano.

Ma, quali sono i passi da compiere per lanciare l’azione imprenditoriale delle aziende che all’estero ancora non ci sono andate?

La prima risposta è tanto semplice quanto efficace: bisogna evitare di seguire un approccio “per opportunità”, tipico del tessuto imprenditoriale italiano, ovvero ogni imprenditore dovrebbe quindi farsi una domanda tanto scomoda quanto importante: “siamo davvero sicuri di poterci aprire e crescere all’estero?”.

Per avere risposta efficace, l’impresa dovrà sottoporsi ad un check-up condiviso con esperti esterni ed esperti di internazionalizzazione che individui, innanzitutto, la natura del vantaggio competitivo posseduto dall’azienda ( qualità dei prodotti/servizi ), la reale capacità finanziaria dell’azienda, le caratteristiche professionali e umane delle risorse ( interne ed esterne ) impegnate/abili nel progetto, la stesura di un piano strategico ed operativo ben strutturato, l’identificazione di un primo mercato nel quale fare ingresso.

Queste valutazioni sono di fondamentale importanza per distaccarsi dall’approccio “per opportunità” – che spesso porta a valutare occasioni di business senza considerarne la sostenibilità di lungo periodo -. Questa fase è molto delicata per diversi motivi: in primis, perché è necessario comprendere che non tutti i mercati sono penetrabili o non lo sono nello stesso modo. E le motivazioni sono spesso di natura endogena, cioè direttamente imputabili alle caratteristiche dell’azienda. Proprio per questa ragione, per le PMI italiane il concetto di internazionalizzazione deve necessariamente coincidere con quello di focalizzazione. Pochi mercati, ben presidiati, che siano in grado di finanziare – nel tempo – la crescita aziendale, tenendo sempre in considerazione i limiti fisiologici della propria struttura organizzativa.

 

Ma come si scelgono i Paesi in cui entrare?

Spesso, la moda del momento impone ingressi in mete lontane e dal sapore vagamente esotico, o anche luoghi dove altri hanno avuto successo. Ma i dati ci dicono che l’approccio corretto consiste nel valutare il potenziale macro-economico di un Paese con molta attenzione, calcolandone rischi e benefici, in un processo che può durare mesi di solo studio e che dovrebbe ricomprendere anche l’esplorazione fisica dei territori nei quali si vorrebbe operare. Appurata l’affidabilità di un Sistema-Paese, bisognerà poi studiare il mercato, dalle dinamiche di settore fino alla concorrenza, passando per i trend presenti e futuri – senza mai dimenticare le questioni legate a tassazione, dazi e imposte di varia natura.

In questa fase l’azienda dovrà essere in grado di valutare quale modalità di ingresso eventualmente adottare. A tal proposito, è importante chiarire che il termine “internazionalizzazione” non vuol dire semplicemente “vendere all’estero”, bensì richiede la padronanza di una serie di strumenti tecnici, economici e di mercato spesso in grado di fare la differenza.

Dott. Fabio Papa – E’ docente presso la Scuola di Economia e Management di LIUC – Università Carlo Cattaneo, dove è Senior Researcher dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness. Dal 2012 è professore di Economia e Cultura Imprenditoriale presso l’Università Statale di San Pietroburgo (Russia). Studioso di strategia aziendale ed esperto di piccole e medie imprese.

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