Recovery Fund, parla Vergani: “Vera sconfitta è l’Unione”

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Abbiamo interpellato Stefano Vergani, presidente AISOM, sulle notizie di stampa relative all’accordo raggiunto dal Consiglio UE sul Recovery Fund.

Presidente, cosa comporterà per il paese Italia quanto pattuito tra gli stati? Ci sarà speranza di ripartire con adeguate provviste economiche?

Fermo restando che abbiamo verificato qualche affermazione ma non abbiamo ancora copia del documento ufficiale firmato a Bruxelles possiamo fare qualche primo commento a caldo. E’ stata senza dubbio una vittoria di Austria, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi (i cosiddetti “frugali”) che hanno ottenuto molti più sconti sul pagamento annuale come contribuzione al bilancio globale Ue, la diminuzione del numero dei sussidi – 390 miliardi invece dei 500 inizialmente previsti – ed un meccanismo di controllo sulle riforme presentate dai Paesi per accedere ai fondi, il cosiddetto “ freno di emergenza” anche se non sarà così automatico come chiesto dal premier olandese Mark Rutte.

Alla fine l’unico vero sconfitto del negoziato è il bilancio pluriennale dell’Unione, decisamente ridotto. I vari programmi europei legati alla ricerca, alla sanità, all’innovazione, alla transizione ecologica e digitale anche loro sensibilmente ridotti per far aumentare gli sconti dei già citati Stati “frugali”. Nei prossimi sette anni i Paesi Bassi otterranno 1921 milioni di rimborsi (+25% rispetto al precedente budget), la Svezia, 1.069 milioni (+62%), l’Austria 565 milioni (+120%) e la Danimarca 377 milioni di euro (+280%).

 Quale lettura dà dell’accordo sul fondo per la ripresa economica?
Il fondo Next Generation Eu sarà di 750 miliardi. La Commissione si farà “prestare” questa cifra dai mercati e – a partire dalla seconda metà del 2021 – verserà in tutto ai 27 Stati membri 390 miliardi di trasferimenti a fondo perduto e 260 miliardi di prestiti, ovviamente divisi in quote diverse.

Una data pericolosamente in là nel tempo – quello di verificare l’avvenuto inspessimento del fondo – e questo renderà più difficile per il governo Conte rinunciare ai 36 miliardi in prestito del MES  che servono subito, stante la situazione attuale.

I vari governi nazionali dovranno poi presentare alla Commissione europea un piano dettagliato su come intendono spendere questi fondi europei.

La Commissione deciderà entro due mesi dai programmi ricevuti se le singole nazioni richiedenti il denaro saranno in grado di rispettare le politiche verdi, digitali e soprattutto le varie raccomandazioni fatte da Bruxelles in questi anni – riformare le pensioni, il mercato del lavoro, la giustizia, la pubblica amministrazione, l’istruzione e la sanità.

Le approvazioni verranno quindi dal Consiglio a maggioranza qualificata e il Comitato economico e finanziario – che è un organo dell’Ue composto da alti funzionari delle amministrazioni nazionali e delle banche centrali, della Banca centrale europea e della Commissione – che valuteranno l’efficacia di attuazione dei piani.

Questa è una sconfitta per l’Italia, in quanto il Premier Conte in questi giorni ha sempre fortemente chiesto che fosse solo la Commissione europea, come organo indipendente, a dare il via libera alla attuabilità del piano di riforme.

Altra presumibile sconfitta: cosa potrebbe succedere se malumori nella maggioranza e un improvviso crollo del governo, portassero ad elezioni e il successivo voto facesse prendere una piega di ingovernabilità maggiore? Ecco il famoso freno che bloccherebbe tutto il flusso finanziario e il paese non avrebbe più risorse da impiegare per sostenere la possibile ripartenza.

Di sicuro gli scenari, a patto che non ci siano nuovi focolai e nuovi vincoli e rallentamenti nelle attività produttivi nella nazione o blocchi da nuove pandemie all’estero, non fanno presagire che le cose si indirizzino su binari di massima garanzia.

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